sabato 19 luglio 2008

I "buoni" samaritani ed il linciaggio morale

La nostra, purtroppo, è una società facile ai linciaggi morali.
L'altro giorno sono andato all'ufficio postale per fare un versamento. Ci sono andato - come faccio sempre - con la mia cagnetta che porto sempre con me, dal momento che cerco di affrontare le diverse incombenze giornaliere muovendomi a piedi, proprio per poter fare passeggiare il più a lungo possibile la Frida.
Come faccio sempre, l'ho lasciata "parcheggiata" fuori: l'ho abituata così sin da piccola e lei se ne sta sempre buona buona ad aspettarmi.
Questa volta, c'era un po' di coda da fare.
Sono uscito di nuovo, per andare a sedermi al bar vicino per lasciare che il turno scorresse (anzi: siamo andati a sederci, perchè Frida - ovviamente - l'ho portata con me - e ci mancava altro!). Quando sono rientrato mancavano solo pochi numeri. Il cane era di nuovo fuori ad aspettarmi.
Attraverso la vetrata, ho notato che una signora giovane, ma non troppo, aveva preso il cane e lo faceva muovere.
Mi sono affacciato all'esterno con fare interrogativo, giusto per capire cosa stesse accadendo.
"Il cane non può stare sotto il sole. Ci penso io a tenerlo all'ombra.".
"Ma... Lei non deve fare il suo turno?"
"No, no, ho un numero ancora alto..."
Un po' perplesso sono rientrato. A pelle, ho subito sentito che la donna era molto ostile nei miei confronti.
Per questo motivo, ho continuato a seguire con la coda dell'occhio ciò che accadeva fuori.
La buona samaritana era alquanto agitata: non cessava di armeggiare con il guinzaglio, come non potendo darsi pace, sin tanto che non è riuscita a trovare un appiglio al quale poterlo assicurare nell'atrio dell'Ufficio (in un posto ombreggiato sì, ma soffocante perchè l'aria lì era assolutamente immobile).
E' entrata per uscire subito dopo: era evidente che fosse agitata da un sacro fuoco di sdegno interiore.
Ha spostato di nuovo il cane, collocandolo in una posizione, a suo giudizio, più soddisfacente.
E' rientrata e s'è messa a parlottare con altri in attesa.
La gente ha cominciato a "murmuriari" e ad esprimere dei commenti ostili. Qualcuno, per esempio, ha detto con petulanza: "I cani sono come bambini non si possono lasciare al sole, abbandonati...!".
La donna per il tutto il tempo non ha cessato di lanciarmi sguardi velenosi, dopo avermi detto con tono supponente e sprezzante: "E' evidente che lei non si occupa del suo cane!", aggiungendo un po' dopo, a mo' di suggello: "E' una crudeltà tenere il cane al sole, mentre noi ce ne stiamo al fresco dell'aria condizionata!".
Nei limiti del possibile, ho cercato di ignorarla. Del resto, il tono assoluto delle sue affermazioni non concedeva alcun diritto di replica.
Ma la situazione s'è fatta davvero pesante.
Per fortuna, è stata una questione di pochi minuti soltanto.
Appena fatto il mio versamento, sono stato ben lieto di uscire dal piccolo "inferno" che si era creato.
La donna, implacabile e decisa a non mollare la presa, s'è messa alle mie spalle, mentre armeggiavo con la porta automatica, sibilando con voce velenosa: "Lei sa che oggi ha rischiato una denuncia!!!".
Questo episodio illustra un meccanismo molto pericoloso che ai nostri tempi s'innesca facilmente, anzi sin troppo facilmente: quello del linciaggio morale di altri individui, sulla base di semplici pregiudizi.
La donna avrebbe avuto indubbiamente ragione se io avessi lasciato il mio cane dentro un'auto con tutti i finestrini chiusi oppure se l'avessi tenuto per ore sotto il picco del sole, legato al guinzaglio e senza acqua da bere. Ma non erano queste le circostanze.
Nella fattispecie, la sosta è stata ragionevolmente breve: il tutto s'è svolto nell'arco di poco più di dieci minuti. Darmi dell'insensibile perchè ho lasciato il cane fuori per strada, sarebbe l'equivalente del dire che sono crudele con lui perchè lo faccio passeggiare sotto gli ardenti raggi del sole (io assieme a lui) o perchè io, sempre assieme a lui, che è tenuto al guinzaglio, me ne sto fermo nella canicola a conversare con qualcuno che ho appena incontrato. Oppure, perchè lo porto con me a passeggiare o a correre: "Si stanca, poverino!!!", avrebbe detto la "buona" samaritana.. E che avrebbe detto costei se l'avessi messa a conoscenza del fatto che Frida aveva partecipato con me ad una 24 ore podistica, percorrendo nell'arco tempo di gara (si badi bene: sempre tirando al guinzaglio, quindi con uni'inesauribile energia), circa 50 km?
Vorrà dire che, la prossima volta che uscirò d'estate a passeggio con il cane, vedrò di attrezzarmi con un ombrellino parasole per proteggere la mia molto amata bestiolina dal colpo di sole e che mi porterò anche un nutrito seguito di flabellanti, in modo da evitare le critiche di fuoco (quelle sì ce uccidono, non certo il Solleone...) della "samaritana" se un fato inclemente dovesse portarmi ad incrociare di nuovo la sua strada ( anche se - a dire il vero - mi auguro di non doverla mai più incontrare in vita mia).
Purtroppo di samaritani di questo tipo, oggi, ne vengono fuori di continuo.
Sono portato a pensare che l'accusa della crudeltà, dell'incuria e della negligenza è privo di fondamento, essendo scaturito - nel caso specifico - dalla necessità della "samaritana" di dispiegare la sua bontà, la sua dirittura morale, il suo orientamento morale verso una causa - a suo modo di vedere "giusta" - ma facendolo con una modalità prevaricante, supponente ed intrisa d'una fondamentale distorsione cognitiva; in definitiva, ponendosi come un'attiva "persecutrice" e come fomentatrice (attraverso il coinvolgimento di altri nella sua "crociata") d'una forma di linciaggio morale nei confronti di un terzo (in questo caso il sottoscritto).
Oggigiorno, tantissime tragedie (scaturite dall'intolleranza e dal pregiudizio) sono generate proprio da questo tipo di atteggiamento che, in piccolo, rappresenta la base degli effetti più nefasti del fanatismo religioso e di ogni forma di fondamentalismo.

Anche nel voler far del bene, del resto, colui che si pone come "buon" samaritano tende a essere succube di categorie "assolute" che non lasciano alcuno spazio al dubbio e all'incertezza, come mostra la breve, fulminante, pièce di Cormac McCarthy (Sunset limited, Einaudi, 2008) che si presenta come ossessivo, claustrofobico, dialogo tra un samaritano, appunto, ed uno che ha appena tentato di lanciarsi sotto un treno della metropolitana (il "Sunset Limited") per farla finita. Il "salvatore" (animato dalla convinzione onnipotente d'essere uno strumento nelle mani di Dio) tenta di convincere l'aspirante suicida a non pensare più all'insano gesto e ad accantonarlo. La sua controparte argomenta, discute, porta le sue motivazioni, i suoi vissuti, con grande lucidità ed insieme con disperazione. Il finale è lasciato aperto: l'aspirante suicida viene rilasciato dal samaritano (che, per "salvarlo", lo aveva letteralmente sequestrato a casa propria, serrando la porta d'ingresso con numerosi catenacci e precludendogli ogni via di fuga). Non si sa se egli ritenterà il gesto: non c'è una risposta rassicurante a questo interrogativo. Forse sì, forse no. In ogni caso, viene sottolineato, qualunque cosa egli vorrà fare, sarà condotto da una forma di autodeterminazione e non certo dalla coazione (quella porta sbarrata dai lucchetti).
Il samaritano, invece, rimarrà da solo, costretto a confrontarsi con il fallimento del suo "assoluto", ma non per questo più disposto ad accettare una dialettica vera nell'approccio alle cose.
Il "buon" samaritano è, in realtà, uno che non tollera dubbi ed incertezze, desiderando un mondo rozzamente sgrezzato a colpi d'accetta per renderlo il più possibile somigliante e "adattato" alle sue categorie cognitivo-emozionali.
Per questo motivo, egli è così proclive a mettere in atto forme, a volte estreme, di coazione salvifica o di linciaggio morale, diventando egli stesso persecutore e aguzzino (ma sentendosi soggettivamente salvato dalla certezza che tutto ciò che fa è "nel nome di Dio").

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