mercoledì 1 dicembre 2010

"Tecniche di resurrezione", un grande affresco storico in cui Gianfranco Manfredi racconta la nascita della Medicina moderna



Tecniche di resurrezione (Tdr) è l’ultimo romanzo di Gianfranco Manfredi (Gargoyle, settembre 2010) che, pur ponendosi come il seguito delle avventure di Aline e Valcour de Valmont, iniziate in Ho freddo, può essere letto in modo del tutto autonomo.
Aline e Valcour sono ritornati nel Vecchio Mondo, ma all’esordio della vicenda sono separati: mentre il secondo si ritrova a Londra, Aline è a Parigi, per tentare di rientrare in possesso del patrimonio di famiglia. Entrambi, pur separati e in contesti diversi (anche ideologicamente) continuano a coltivare i propri interessi scientifici.
La narrazione propone un impressionante affresco storico del periodo di transizione tra la Rivoluzione Francese e il trionfo dell’impero napoleonico, in una dimensione in cui lo scientismo prende sempre più piede grazie alle recenti scoperte del galvanismo con il riconoscimento degli effetti di correnti elettriche applicate ad esseri, viventi o morti, o a parti di tessuti anatomici dissezionati e del loro potere “resuscitante”.
Gli scenari narrativi sono complessi, caratterizzati dall’intersezione tra la ricostruzione storica e d’ambiente – sempre accuratissima – e la disamina delle ossessioni dei medici del tempo scaturenti dai progressi della scienza medica, ma ancora gravati dalle incrostazioni d’un passato di superstizioni e false credenze: l’elettrogalvanismo, gli interrogativi sulla facoltà della nuova scienza di poter resuscitare chi fosse già stato dichiarato morto (almeno sulla base delle conoscenze del tempo), sino alla possibilità di creare la vita ex-novo, ossessione quest’ultima che, nelle sue declinazioni demiurgiche, prenderà corpo in modo emblematico – poco più di un decennio più tardi dell’epoca degli eventi narrati da Manfredi – nel romanzo di Mary Shelley, Frankenstein o il Moderno Prometeo, ma anche l’identificazione di meccanismi fisiologici sino a prima sconosciuti e delle correlazioni possibili tra funzioni e parti anatomiche prima trascurate e un’attenzione nuova e attenta al cervello e alle leggi del suo funzionamento.
Se Ho freddo includeva nella sua trama l’ossessione per le epidemie vampiriche del XVIII secolo quando superstizione e scienza si incontravano in un groviglio ancora difficile da dipanare, in Tdr, invece, si entra più direttamente nel positivismo e nello scientismo, nelle cui pieghe – tuttavia – fantasmi e paure oscure continuano a sopravvivere.
Il vero orrore, nella narrazione di Manfredi, sta tutto nella rappresentazione della scienza medica che per potersi evolvere deve esercitarsi in consuetudini macabre e terribili, come l’applicazione di correnti elettriche al corpo di coloro che erano stati giustiziati, oppure tollerare (se non addirittura incoraggiare) tutte le necessarie pratiche clandestine messe in atto dai profanatori di tombe per il reperimento dei cadaveri da dissezionare in sala settoria: una merce importante e preziosa per potere incrementare sempre di più la precisione delle conoscenze anatomiche e la corrispondenza tra alterazioni di organi e tessuti e le malattie.
Non è facile (ed è forse riduttivo) rubricare il romanzo di Manfredi come narrativa “horror”: sì, alcuni elementi propri dell’horror ci sono, ma sembrerebbe che siano piuttosto degli elementi “incastonati” nell’intreccio e che servono ad approfondire (arricchendone le sfaccettature) un testo di ampio respiro che ha le qualità del romanzo storico (più decisamente “storico” di quanto non fosse Ho freddo che, invece, possedeva maggiormente le caratteristiche del conte philosofique).

Un romanzo che si muove tra storia e filosofia della scienza
Guardando più nel dettaglio, la storicità del romanzo di Manfredi si muove su due diversi binari: da un lato, vi è la contestualizzazione storica nel periodo che vede l’Inghilterra allarmata per l’imporsi sullo scenario europeo di Napoleone Bonaparte, primo Console e prossimo all’incoronazione come Imperatore (evento che chiudeva di fatto gli anni della Rivoluzione Francese, pur non estinguendo la ventata libertaria e indipendentista che percorre l’Europa), ma vi sono anche aperture verso il Nuovo Mondo (che risuona nelle narrazioni dei due protagonisti reduci dall’avventura in America e del pastore Jan Vos, con la cui morte si concludeva Ho freddo) e verso il mondo esotico, misterioso ed esoterico dell’Egitto, portato alla ribalta dalla spedizione napoleonica in Africa; in parallelo, vi ritroviamo una dimensione storica di tipo scientifico, con il progresso della scienza in generale, illustrato ad esempio con l’episodio, gustoso e singolare, del viaggio attraverso La Manica in mongolfiera, e della scienza medica più nel dettaglio.
Alcuni, nel commentare Tdr hanno proposto un parallelismo (e un’assonanza) con il citato romanzo della Shelley, ma in verità i punti di contatto tra i due romanzi sono da rinvenire esclusivamente nella potenzialità della correnti elettriche che, applicate a un corpo apparentemente morto, possono ridare la vita e “resuscitare”.
Il testo della Shelley, fortemente imbevuto di quesiti filosofici, si occupava principalmente dell’estrapolazione demiurgica della nuova scienza: e, in questo, vi si può ravvisare una persistente modernità (che non manca di stupire il lettore moderno), proprio perché senza volerlo si pone come atto di denuncia sulla pericolosa disinvoltura dello Scienziato che ritiene di potere agire come demiurgo che “crea” la vita, anziché astenersi sulla base del semplice “principio di precauzione”); e in tal senso attiva una riflessione sempre d’attualità.

La letteratura e l’avanzata della scienza: da Frankenstein a Next…
Frankenstein è entrato con forza nell’immaginario di molti, anche grazie alla mediazione delle molteplici rappresentazioni cinematografiche della storia (non ultima quella in chiave satirica e nondimeno geniale del grande Mel Brooks).
Lo si può considerare uno dei primi romanzi che si pone degli interrogativi filosofici sull’avanzare della scienza e sulla responsabilità morale dello scienziato sui guasti che potrebbero verificarsi a causa dell’applicazione avventata di nuove tecnologie e con il mancato rispetto del “principio di precauzione”.
In questo senso, ha rappresentato una pietra miliare, perché ha importato nella letteratura gli interrogativi più inquietanti posti dal progresso.
Non a caso, il “mostro” rimane senza nome, il “Frankestein” del titolo è lo scienzato-demiurgo, perseguitato come da un’ombra dalla creatura infelice cui ha dato vita che è la testimonianza vivente della sua hubris.
Dentro ogni scienziato, oggi – come ieri – alberga un Frankenstein che si protende sull’abisso, pronto ad infrangere i limiti posti dall’etica per inseguire la sua brama epistemofilica.
Anche in Tdr sono presenti diversi aspetti che attengono alla ricerca scientifica di quel tempo e che trascinano con sé altrettanti quesiti filosofici:
1. il confine tra la vita e la morte: quando un essere vivente può considerarsi veramente morto? Quando cessa la possibilità di rianimarlo? Qual è la differenza tra interventi di rianimazione e “resuscitanti”? È lecito mettere in opera simili interventi?;
2. la correlazione tra le correnti elettriche e il funzionamento della macchina-uomo. Se le correnti elettriche provocano dei fenomeni cinetici nei tessuti o in parti anatomiche isolate, possono essere utilizzati per ridare vita ad un corpo morto;
3. le correlazioni tra certe parti del cervello che secernono delle sostanze chimiche e il funzionamento corporeo (su quest'aspetto si innesta la ricerca dell’inquietante figura costituita dal Doctor Ending);
4. la correlazione tra il progredire della Scienza e l’estendersi delle conoscenze, da un lato, e – dall’altro – la persistenze influenza di esoterismo e sottili forme di superstizione (e di conseguenza, attiva indagine sui fenomeni parapsicologici). Come integrare questi aspetti così diversi? Sono compatibili in una visione sempre più moderna delle cose?.
È chiaro che quesiti come questi che a noi appaiono normali (o addirittura superati) potessero apparire agli albori della scienza medica esoterici o addirittura pericolosi, in quanto frutto dell’esercizio di stregoneria o di arti magiche o occulte, sino a sconfinare nel reame delle scienze “oscure”.
Proprio contro questi pregiudizi, i pionieri della ricerca medica nei primi decenni dell’Ottocento si trovarono a lottare per affermare il primato della ragione, a volte scivolando proprio su quei pregiudizi che intendevano combattere, e senza volerlo alimentandoli.
Nel corso del tempo, il limite tra ciò che è morale e ciò che è immorale si va spostando di continuo: questo è un dato di fatto.
Tuttavia, è anche giusto e opportuno che debbano essere posti dei confini non tanto alla ricerca scientifica, quanto piuttosto ad alcune possibili applicazioni ed estrapolazioni di ritrovati della scienza, come ci avverte il recentissimo film Splice o sembra dirci Next (uno degli ultimi romanzi di Michael Crichton prima della sua scomparsa) nei quali si vede bene come gli scienziati operano esclusivamente al servizio di interessi privati o del proprio stesso interesse (ambizione, desiderio di gloria, personali ossessioni), portando quindi la ricerca in quelle direzioni che potranno essere potenzialmente remunerative o sollecitanti/gratificanti per il proprio Ego, senza tenere in alcun modo in conto la necessaria prudenza nell’andare dritti alle applicazioni commerciali delle proprie scoperte (e rispettosi del cosiddetto “principio di precauzione”).
Il tema scientifico presentato in Tecniche non è tanto quello dell’immortalità – come alcuni hanno ventilato – che è al di là della scienza o del potere demiurgo dei prometeici Frankenstein della Scienza, bensì quello della a messa a punto e dell’applicazione di “tecniche di resurrezione” sempre più efficaci, dal momento che esattamente in quegli anni gli uomini (i medici, gli scienziati, ma anche gli umanisti e i filosofi) cominciavano a riflettere sui confini della vita e sulla definizione di morte.
Quando si è definitivamente e completamente morti?
Come si fa a riconoscere uno che è completamente morto, da uno che, pur sembrando morto, potrebbe ancora risvegliarsi?

Questo l’interrogativo che i medici del tempo e le persone comuni cominciarono a porsi con sempre maggiore insistenza, in alcuni casi sino a rasentare l’ossessione.
Il galvanismo, cioè l’applicazione delle correnti elettriche ai cadaveri e ai soggetti morti da poco tempo, sposò efficacemente questa ossessione, mentre in parallelo si cominciava ad approfondire l’importanza delle correnti elettriche nel funzionamento degli esseri viventi.
L’applicazione della corrente elettrica ai cadaveri, e il fatto che i muscoli – se adeguatamente stimolati – potessero avere delle contrazioni alimentò la fantasia che, pur sembrando morti, si potesse essere ancora in vita: da qui una serie di consuetudini che si radicarono proprio in quegli anni per garantire che in caso di risveglio il “morto” potesse essere messo in salvo.
L’attesa di molte ore prima di procedere alla sepoltura, il collegare uno degli arti del defunto ad una cordicella che avrebbe fatto suonare una campanella in caso di improvvisi movimenti: furono tra i tanti dispositivi messi a punto per placare l’ansia (e in alcuni la fobia) del seppellimento prematuro (di cui è un magistrale esempio il racconto di Edgar Allan Poe, “La sepoltura prematura”) che ci accompagna sino ai giorni nostri in molte varianti della narrativa horror (nota 1).
D’altra parte è noto che proprio l’applicazione di una forte corrente elettrica al cuore faccia parte del protocollo delle tecniche di rianimazione utilizzate oggigiorno in caso di arresto cardiaco, come step ulteriore rispetto al cosiddetto “massaggio cardiaco” accompagnato da insufflazioni polmonari.
Il romanzo di Manfredi ci parla di queste cose e del difficile percorso compiuto dalla medicina scientifica (rappresentata da Aline e Valcour) sia nel suo approccio “curativo” sia nelle sue funzioni più estreme di un insieme di pratiche “resuscitanti” e quasi miracolose.
È chiaro che, quando il medico – pur in nome della scienza – applica in modo avveniristico delle tecniche resuscitanti ancora non consolidate e di tipo “sperimentale” si riveste – senza nemmeno volerlo di un’aura carismatica e stregonesca, dal momento che il potere di “ridare” vita confina inevitabilmente con quello – speculare – di somministrare la morte (vedi ancora l’inquietante figura del Doctor Ending in Tdr).
È questo il difficile percorso che Aline e Valcour sono stimolati a percorrere, dovendo contrastare, da un lato, l’interessamento – ben poco umanitario – di chi vuole sfruttare questi nuovi ritrovati per consolidare il proprio potere politico e, dall’altro, l’opposizione anche violenta di chi vorrebbe frenare lo sviluppo di conoscenze scientifiche limpide e certe, mantenendo invece sugli ignoranti un potere derivante dalla forza delle superstizioni (il Doctor Ending tra questi personaggi occupa una posizione sicuramente emblematica).
Nello stesso tempo, lo sforzo scientista di Aline e Valcour non è alieno dal cogliere anche certe istanze sociali.
Se Aline rappresenta la ricerca “pura”, Valcour – pur ricercatore – è anche un medico pragmatico e “filantropo” che piega le scoperte della scienza e le nuove acquisizioni in tema di metodi terapeutici alle esigenze della “cura”, rivolgendosi sia ai ricchi e agli aristocratici benestanti, sia ai meno abbienti che, a quei tempi, vivevano in condizioni di grande disagio e di totale assenza di igiene, cause primarie di patologie.
Con Valcour vengono tratteggiati i grandi temi della Medicina applicata che, accanto a quello della ricerca e dell’applicazione di nuovi metodi di cura, è quello dell’impegno sociale e filantropico con l’avvio di interventi di educazione sanitaria e curativo/terapeutici, indirizzati ai poveri, con la ricerca di luoghi idonei per lo svolgimento di questa “mission” (grazie alle donazioni dei ricchi, sensibilizzati a questa causa), a tutti gli effetti precursori dei moderni ospedali.


Tecniche di resurrezione, un grande affresco storico…
Detto questo, a me sembra che Tdr di Manfredi sia veramente un grande romanzo, perché presenta un affresco della società inglese (in clima di restaurazione) e francese (reduce dalla Rivoluzione),con tutti i fermenti culturali del tempo in cui lo scientismo, tipico prodotto dell’Illuminismo, comincia a ricevere potenti contaminazioni dalla nascente anima romantica. Un testo costruito abilmente con una miriade di personaggi, in cui ciascun capitolo è in se stesso una sorta di “puntata”: Manfredi, anche per via del suo curriculum di sceneggiatore di fumetti cult come Magico Vento e Volto Nascosto ha saputo abilmente importare nell’elaborazione del romanzo la sua capacità di dar vita a delle narrazioni che, pur rispondendo a un’unica trama molto articolata, presentano nello stesso tempo dei micro-episodi ciascuno dei quali è compiuto in se stesso come, ad esempio, le storie attorno all’ex-guida napoleonica Salvy San Subra, affetto da una misteriosa sindrome, al cui capezzale viene chiamato Valcour dal Primo Console in persona, o altri episodi sulla campagna d’Egitto).
E, in effetti, nel leggere l’opera di Manfredi quello che succede è proprio questo: si finisce un capitolo, si fa una pausa e subito si desidera passare ad immergersi in quello successivo. E, intanto, la schiera dei personaggi (molti dei quali “storici”) tratteggiati a tutto tondo dalla penna dell’autore si va infoltendo sempre di più.
Ho freddo, così come Tdr, è fondato su di un’approfondita attenzione storiografica, su ricerche d’archivio, ma anche su sopraluoghi minuziosi, effettuati nei luoghi descritti.
È quest’aspetto che rende unica e originale la storia che, a differenza di altre (anche nella forma filmica) in cui viene, invece, presentato sempre lo stesso canovaccio (in cui a cambiare sono solo i luoghi, le date, i nomi dei personaggi, ma non la sostanza).
La godibilità di un romanzo sta nel fatto che aiuti il lettore a sognare (quando l’accento è posto sulla dimensione fantastica) oppure a viaggiare nel tempo e nello spazio.
Un viaggiatore (che non sia semplicemente turista) ha bisogno di informazioni attendibili e soprattutto gli deve essere data la possibilità di immergersi nel contesto, impregnandosi della sua sensibilità (che è anche quella della struttura intrinseca del pensare e di costruire rappresentazioni del mondo di chi lo abita).
In un romanzo che sia ambientato in un luogo e in epoca precisi del passato, un passato che è nostro e che, nello stesso tempo, non ci appartiene più, è estremamente importante l’accuratezza delle ricostruzioni storiche (perché nel frattempo noi siamo andati avanti sia sotto il profilo delle tecnologie, sia sotto quello della sensibilità e del modo di pensare). Ci sono due modi di scrivere del passato (oppure di farne dei film), profondamente divergenti uno dall’altro: ricostruirlo con le categorie mentali del Presente, oppure cercare di farlo rivivere così com’era, con accuratezza e precisione.
In tanti film made in USA quello che accade è l’americanizzazione del passato: nel senso che vicende, anche lontanissime, vengono rivisitate in modo da essere in sintonia con il gusto americano contemporaneo e, se tale processo implica, un imbastardimento della verità storica e della rappresentazione dei costumi e delle tecnologie, poco importa.
Il passato diventa così il luogo delle nostre proiezioni di uomini del presente, una mera convenzione: il racconto è ambientato nel passato, ma ad esso sono applicate spudoratamente tutte le categorie e i modi di sentire propri del presente.
Credo che questi due romanzi di Gianfranco Manfredi, proprio per questi motivi, escano dal genere ed entrino a pieno titolo nel solco della grande letteratura
Tdr è un romanzo assolutamente da leggere: un romanzo che anche grazie alla profusione dell’apparato di note che lo arricchiscono consente di imparare la storia, dedicandosi ad una lettura che solo apparentemente è leisure e intrattenimento.
Il romanzo è arricchito da un’introduzione di Carlo Bordoni, intitolata “Prima di Frankenstein”, in cui si pone l’accento sui progressi della scienza e delle conoscenze neurofisiologiche “prima di Frankenstein”.
Mentre al termine del volume, una nota finale redatta dallo stesso Manfredi racconta cosa accadde ad alcuni dei personaggi storici, dopo le vicende immaginarie in cui sono stati coinvolti.

La trama

1803. I gemelli Aline e Valcour de Valmont, ricercatrice scientifica lei e medico-chirurgo lui, sono tornati in Europa dopo una tragica esperienza americana che ha lasciato in entrambi ricordi angosciosi. A Londra, Valcour assiste a una dimostrazione galvanica dello studioso Giovanni Aldini, condotta sul cadavere di un impiccato. Nel corso dell'esperimento, Valcour rianima un uomo colpito da infarto.
Il brillante successo riportato lo precipita però in un agghiacciante intrigo.
Proprio mentre gli esperimenti di rianimazione stanno aprendo nuove prospettive alla medicina, un chirurgo folle conosciuto come Doctor Ending si rende responsabile di feroci delitti, trafugamenti di salme e clamorose provocazioni. Aline si trova, intanto, a Parigi, nella speranza di recuperare alcuni beni di famiglia sequestrati dopo la Rivoluzione, entrando in contatto con la Corte di Napoleone. In Francia, una generazione di novelli "medici dell'anima" si avvale delle prime esperienze ipnotiche per esplorare i segreti della psiche umana. Un caso in particolare, per quanto tenuto segreto, suscita inquietanti interrogativi.
Salvy San Subra, un'ex guida di Napoleone durante la campagna d'Egitto, è vittima di un processo di degenerazione cellulare che lo sta progressivamente mummificando. Quando Valcour raggiunge sua sorella a Parigi, scopre che tra il caso di Doctor Ending e quello di San Subra, intercorrono sotterranei quanto inspiegabili legami. La vicenda assume presto i contorni di un incubo che rischia di inghiottire i due fratelli.

Una nota bio-bibliografica su Gianfranco Manfredi
Cantautore, sceneggiatore, attore, scrittore, Gianfranco Manfredi nasce a Senigallia nel 1948, ma si trasferisce a Milano all'età di otto anni.
Studia Filosofia e si laurea con Mario Dal Pra.
Agli inizi degli anni Settanta, si divide tra la ricerca universitaria sull'Illuminismo francese e l'attività di cantautore: escono gli album La crisi (1972), Ma non è una malattia (1976), e il saggio L'amore e gli amori in Jean-Jacques Rousseau (1978). A un passo dall'ottenimento della cattedra in Storia della Filosofia, Manfredi decide di dare spazio esclusivamente alla sua vena artistica. Come cantautore realizza gli album Biberon, 1978; Liquirizia, 1979 (colonna sonora dell'omonimo film di Salvatore Samperi); Gianfranco Manfredi, 1981; Dodici, 1985 (in coppia con Ricky Gianco); In Paradiso fa troppo caldo, 1993; Danni collaterali, 2003; firma, altresì, brani per interpreti del calibro di Mia Martini, Gianna Nannini, e Gino Paoli. Inoltre, comincia a lavorare per il cinema come sceneggiatore: Samperi (Liquirizia, 1979, e Fotografando Patrizia, 1981) e Steno (Quando la coppia scoppia, 1981) sono solo alcuni dei registi con cui collabora. Come attore recita in Un amore in prima classe, 1980, e Fotografando Patrizia, è protagonista del Tv movie Kamikaze di Corbucci (1986), ed è tra gli interpreti di Via Montenapoleone di Carlo Vanzina (1987). Nel contempo inizia a farsi conoscere come romanziere distinguendosi da subito per la sua raffinata propensione a ibridare i registri narrativi e a rimaneggiare in modo del tutto nuovo i tòpoi della letteratura di genere, ottenendo il plauso di personalità come Oreste Del Buono e Pier Vittorio Tondelli. È autore di: Magia Rossa (Feltrinelli 1983, Gargoyle 2006), Cromantica (1985), Ultimi vampiri (Feltrinelli 1987, Gargoyle 2009 in Extended Version), Trainspotter (1989), Il peggio deve venire (1992), Una fortuna d'annata (2000) e Il piccolo diavolo nero (2001), Ho freddo (Gargoyle 2008, www.hofreddo.it - finalista Premio letterario Francesco Alziator - Comune di Cagliari 2009), Tecniche di resurrezione (Gargoyle 2010).
Manfredi è, inoltre, il creatore delle seguitissime serie Magico Vento (tradotta in diversi Paesi, attualmente al vaglio di opzioni cinematografiche americane) e di Volto Nascosto, editi dalla Sergio Bonelli.Gianfranco Manfredi vive e lavora a Gordona (Sondrio).
Ha un suo sito web: www.gianfrancomanfredi.com
(Nota 1) - -“La sepoltura prematura” (titolo originale:”The premature burial”) è un racconto di Edgar Allan Poe appartenente alla raccolta Racconti del terrore. Fu pubblicato per la prima volta nel 1844 su “The Philadelphia Dollar Newspaper”.
Il racconto, in verità un piccolo saggio, è costituito da alcuni esempi paradigmatici tratte dalla cronaca o circolanti come storie narrate a voce, di sepoltura di esseri umani ancora in vita, creduti morti a causa di un prolungato stato di coma o catalessi. Il brano evidenzia ripetutamente il terrore e l’angoscia che si provavano spesso, all'epoca, di fronte alla prospettiva di essere sepolti vivi.
Tale paura molto diffusa in passato si strutturava talora in forma di fobia: la cosiddetta “tafofobia” (dal greco taphos, sepolcro) con possibili correlati psicopatologici, derivante dalla paura di essere sepolti vivi, quale risultato dell’errata constatazione della propria morte.
Questa paura, soprattutto al giorno d’oggi, sembra essere abbastanza rara e appare più che altro come una forma estrema di claustrofobia. Oltretutto si è notato che il picco di tafofobia lo si ritrova in persone anziane che, nella loro giovinezza, sono rimaste profondamente colpite dalla lettura di racconti ispirati a questo fenomeno. Per questi motivi la tafofobia sembra non rivestire, oggi, eccessiva rilevanza clinica.

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